Questa lettera non ha un destinatario specifico. Forse potrebbe essere indirizzata ad una generica classe di una generica scuola media (così si chiamava quando la frequentavo io) di un generico paesino di una specifica regione d’Italia. In quella classe ci ho passato 3 anni (più i 5 precedenti delle elementari), in tutto i peggiori anni da me vissuti in ambito scolastico. Perché ci penso oggi?
Non lo so, a dire il vero. Forse questo periodo mi riporta alla mente dei ricordi di quel per fortuna lontano passato, ricordi che quasi del tutto sono riuscita ad eliminare dalla mia mente.
Perché quando frequentavo quella scuola, quei compagni, non vedevo l’ora che tutto finisse e che iniziassero le scuole superiori: avrei cambiato paese, avrei cambiato edificio, ma soprattutto non avrei più rivisto quelle facce ogni giorno.
La cattiveria non ha limiti, si sa. E i ragazzini possono essere davvero malvagi. Ho sempre amato studiare, ho avuto sin da piccola una grande curiosità verso tutto ciò che mi circondava. Per me lo studio non è mai stato un peso, ho sempre aperto un libro con piacere, con voglia di apprendere, con la consapevolezza che non lo facevo per dovere ma per piacere.
Ho avuto inoltre la fortuna di avere dei genitori speciali, che mi hanno sempre lasciato seguire le mie inclinazioni, mi hanno premiato per il mio impegno e non mi hanno mai fatto mancare nulla di ciò che potevano farmi avere, insegnandomi al contempo il valore del sacrificio.
Grazie a loro ho fatto il liceo classico, anche se sapevamo tutti che ciò avrebbe comportato l’iscrizione all’università. E una laurea l’ho presa, con grande sacrificio di tutti, economico e personale, ma con grandissima soddisfazione nel vedere i miei genitori in lacrime il giorno della mia laurea, perché leggevo nei loro occhi l’orgoglio per me.
Quel giorno ho coronato davvero un sogno, ho raggiunto il nirvana e mi son sentita realizzata, nonostante tutto il fiele mandato giù negli anni in cui una bambina diventa ragazza. Anni passati a stare in disparte, perché i compagni a scuola mi additavano perché ero più brava di loro e mi cercavano solo quando avevano bisogno di copiare un compito, o di un aiuto durante una lezione. Per il resto venivo derisa, presa in giro pesantemente, esclusa anche. Come quando tutti erano stati invitati ad una festa di compleanno di un nuovo studente, tranne me.
“Ma l’avevo detto a tutti!”.
No, a me non lo avevi detto.
O quella volta, che tu, mia allora migliore amica, solo perché a dodici anni neanche sapevo che volesse dire il sesso, decidesti di togliermi il saluto perché potevo essere fonte di imbarazzo per te, se un ragazzo ti si avvicinava.
O quando andammo in gita di terza media ed io feci amicizia con i ragazzi della sede centrale, perché nessuno di loro mi giudicava come voi, a nessuno fregava se a me piaceva studiare. Tornati dalla gita fu l’inferno. Nessuno che mi rivolgeva più la parola, insulti mormorati nei corridoi o nell’aula, facendo attenzione che i professori non sentissero.
Quanto male mi avete fatto… allora non c’era il cyberbullismo, e meno male… forse ora non sarei qui a scrivere.
Che gioia una volta finiti gli esami di terza media, perché nessuno di voi sarebbe venuto nella mia scuola! Certo, dovevo vedervi tutti i giorni sul bus, per cinque anni. Ma i pochi chilometri tra il nostro paesino e la scuola non erano sufficienti a farvi penetrare di nuovo nella mia anima. E gli anni del liceo li ricordo con tanto piacere, normale studente tra tanti.
E poi, come se nulla fosse successo, avete avuto pure il coraggio di venire a cercare i miei soldi, per organizzare la festa dei diciottenni (si usa dalle mie parti, festeggiare con i coetanei tappe come i 18, i 30, 40 annoi etc.). Però forse, un po’ di coda di paglia l’avevate, perché non siete riusciti a fermarmi per strada a dirmelo di persona, ma avete aspettato che fossi passata, tornata a casa, per poi chiamare il mio ragazzo e dirgli di riferirmi cosa avevate in mente.
Grazie, i miei soldi li ho usati bene per fare ciò che volevo per mio conto.
Non sapete con quale gioia sono andata via da quello schifo di posto, con quale felicità non vedo più le vostre facce e continuo per la mia strada, forte della forza che mi avete dato con il vostro comportamento meschino.
Ora io sono lontana, ho superato difficoltà che neanche pensavo di poter affrontare, ho percorso sentieri insperati, e continuo ad affrontare la vita ogni giorno con grinta, grazie a chi mi vuole bene e non mi ha abbandonato.
E se mai avrò dei figli insegnerò loro le stesse cose insegnate a me, perché certi valori restano nel profondo e ti rendono una persona migliore.