Hiraga Gennai è una figura peculiare della letteratura giapponese. Vissuto in epoca Tokugawa, precisamente nel XVIII secolo, come viene raccontato nell’appendice alla fine del libro, fu uomo di grande cultura, amante della cultura occidentale, inventore, letterato multiforme, noto sotto vari pseudonimi, dalle alterne fortune. Scrisse sia testi di stampo serio, tra cui anche opere teatrali, sia testi leggeri, ironici, come l’opera Hohiron (“Sui peti”… si avete capito bene!) e Naemara in’itsuden (“Biografia di un cazzo ammosciato in romitaggio”!!!), dove utilizza il linguaggio comico, ironico, divertente, per mettere alla berlina tutte quelle situazioni del suo tempo che a suo parere debbono essere criticate.
Opera ironica è anche Furyu Shidoken den (“La bella storia di Shidoken”), che racconta la straordinaria storia di Asanoshin, noto poi come Shidoken, personaggio realmente esistito. Nell’opera vengono riproposti in via del tutto ironica dei temi cari alla letteratura del tempo, come alcuni stereotipi narrativi tipici di storie come quella narrata nel Taketori Monogatari, dove la protagonista nasce in maniera prodigiosa e si rivela un personaggio di natura superiore al mondo; solo che in questo caso l’utilizzo fatto di certi topoi letterari è tutto volto alla presa in giro, all’attacco alla società. E ciò diviene manifesto nel procedere della narrazione. Ma cosa racconta di preciso il caro Gennai?
Asanoshin nasce in maniera prodigiosa ( e già nel leggere tale prodigio non si può fare a meno di ridere sotto i baffi) e per questo motivo i genitori decidono che debba farsi monaco, perché era credenza comune che le persone nate in modi sovrumani avessero per controparte una vita molto breve e che l’unico modo per prolungarla fosse renderli servitori della divinità. Ma il povero Asanoshin non è interessato alla vita monastica (anche perché è un adolescente che ha ben altro per la testa). Succede così che attraverso un evento prodigioso (altra presa in giro di stereotipi letterari) incontra colui che darà una svolta alla propria vita, il maestro Furai Sennin (il senni è una figura che ottiene poteri magici straordinari attraverso una vita di privazioni, anche in questo caso la situazione è molto ironica), il quale dona ad Asanoshin un ventaglio magico, grazie al quale il giovane farà un prodigioso viaggio in lungo e in largo in tutto il mondo, per conoscere in maniera approfondita tutti i luoghi dove si pratica l’amore. Praticamente un viaggio per i bordelli terrestri, senza distinzione tra prostituzione femminile o maschile! Dopo aver fatto questo bel viaggio, Asanoshin visita dei paesi mitici, come quello dei Giganti, dei Pigmei, dei Gambalunga e dei Bracciacorte, dei Pettiforati; arriva alla corte cinese, dove rischia seriamente di perdere la testa (e chi non rischierebbe, infilandosi di soppiatto nell’harem dell’imperatore cinese?) e dove il ventaglio manco finisce irrimediabilmente distrutto, per finire il proprio viaggio nel Paese delle donne, dove diventa un prostituto insieme agli sfortunati membri dell’equipaggio della nave su cui viaggiava. Ed è proprio qui che infine gli riappare Furai Sennin, che gli spiega il significato del lungo viaggio e le sue manchevolezze (il tutto sempre in via ironica).
Come ben spiegato nell’introduzione di Adriana Boscaro, l’opera è tutt’altro che di semplice lettura, per lo meno in lingua originale, perché Gennai utilizza benissimo i diversi livelli linguistici del giapponese e dei suoi kanji, per fare dei giochi di parole che ricalcano e prendono in giro la terminologia seria. Questa difficoltà viene bene esplicata nell’apparato di note a fine testo. Inoltre è molto interessante l’approfondimento redatto nelle due appendici, la prima che racconta la storia dello Yoshiwara, il quartiere di piacere di Edo (Tokyo), la seconda, già citata, sulla vita e le opere di Gennai.