Si tratta di una raccolta di dieci racconti, di autori praticamente ignoti e risalenti al XII secolo, in cui vengono raccontate diverse situazioni amorose, tra il serio ed il faceto. Immancabili sono i versi che si intercalano alla narrazione in prosa dei vari episodi, alcuni dei quali riprendono tematiche già viste nel Genji monogatari. Il filo comune è l’amore, visto attraverso varie sfaccettature: l’equivoco, la curiosità per l’insolito, il corteggiamento.
La lunghezza delle storie è variabile, come diversi sono gli stili. I racconti più umoristici sembrerebbero redatti da un pennello maschile, secondo le analisi stilistiche, come per esempio in Nerofumo, dove inizialmente viene raccontata la storia di un matrimonio che sembra vacillare perché il marito ha iniziato a frequentare un’altra donna, i cui genitori vogliono ufficializzare la relazione con delle nuove nozze, a discapito della moglie principale. Il marito, sul punto di cedere, finisce poi per ripensarci, rinunciando alla nuova relazione; salvo successivamente provare desiderio di vedere l’amante, che nella fretta di farsi bella sbaglia cosmetici e invece di imbellettarsi di bianco lo fa usando il nerofumo, con un effetto comico involontario, che fa scappare l’uomo. Nel caso di questo racconto, la prima parte sembra essere stata composta in un primo tempo; la seconda aggiunta successivamente, probabilmente da una mano maschile. Altro racconto a sfondo umoristico è La Principessa che amava gli insetti, dove la protagonista viene descritta come una persona stramba, sia per l’amore per gli insetti (si rammarica persino del fatto che ad essi non vengano dedicate delle poesie), sia per il modo di vestirsi e comportarsi, tutto sopra le righe rispetto a quello che dovrebbe essere il comportamento di una nobile del periodo Heian.
La leggerezza e la facilità di lettura fanno sì che i racconti scivolino uno dietro l’altro come piccoli bon bon, da gustare in una pausa da letture più impegnative.